È di un paio di giorni fa la pubblicazione della ricerca Ipsos, portata avanti da Tiziana Ferrario e Paola Profeta per Laboratorio Futuro, che titola Covid: un Paese in bilico tra rischi e opportunità – Donne in prima linea [1] e che pone all’attenzione la questione della disuguaglianza di genere all’interno della pandemia globale. Questa indagine parte da presupposti già sedimentati e tristemente noti all’interno del tessuto sociale ed economico italiano, ovvero la palese asimmetria di opportunità e riconoscimenti nel mondo del lavoro in base al genere. Tendenza che viene palesata e forse addirittura acuita dall’emergenza sanitaria in corso.
Ma facciamo un passo indietro.
Non è un mistero infatti che in Italia, e siamo tra gli ultimi in tutta Europa, il tasso di occupazione femminile sia almeno da un decennio stabilmente inferiore rispetto a quello maschile (si parla del 49.5%, contro un tasso maschile del 67.6% su un campione di popolazione che va dai 15 ai 64 anni). Le poche donne occupate, inoltre, non sono attive nei settori meglio remunerati sul mercato del lavoro e tendenzialmente ricoprono ruoli non dirigenziali (meno del 30% al 2018). La causa di tutto questo non sembra essere attribuibile ai livelli di istruzione, infatti in Italia, su 100 giovani ragazzi che si laureano, 60 sono donne.
Paola Profeta e Tiziana Ferrario, “Covid: un paese in bilico tra rischi e opportunità”, Corrieredella Sera, 29 aprile 2020
Allora a cosa è dovuto questo gap occupazionale?
“Perché non si è visto il rapporto della donna con la produzione mediante la sua attività di ricostruzione delle forze-lavoro nella famiglia? Perché non si è visto nel suo sfruttamento all’interno della famiglia una funzione essenziale al sistema dell’accumulo di capitale?” domanda Carla Lonzi in Sputiamo su Hegel [2], parlando della rivolta della classe operaia nell’ottica marxista, in cui la donna non trova il suo spazio, anzi viene nuovamente relegata alla cura domestica e dei figli, all’interno del sistema patriarcale.
A distanza di cinquant’anni la situazione è rimasta pressoché invariata. La gestione del lavoro domestico non retribuito ricade principalmente sulle donne e il 74,4% di esse non sperimenta alcuna condivisione con il partner, mentre la gestione economica e burocratica è prevalentemente svolta dall’uomo. Stessa cosa per la cura dei figli che vede impegnate le mamme il 60% in più rispetto al partner.
Non è tutto. Si stima che dal 4 maggio in poi, con l’inizio della Fase 2 e la parziale riapertura di alcuni settori produttivi, a tornare a lavoro saranno al 72% gli uomini. Questo è dovuto al fatto che molte delle aziende che riapriranno sono occupate per la maggior parte da uomini, e in parte perché per molte coppie sarà difficile conciliare lavoro con gestione dei figli. Fin ora, con il Decreto economico Cura Italia sono state concepite solo due misure di sostegno per i nuclei familiari: il bonus baby sitter e l’estensione del congedo parentale. Misure che sono evidentemente insufficienti per far fronte a un problema così radicato e sistematico. Alcuni hanno proposto una “aspettativa covid” per non trasformare le lavoratrici in casalinghe.
Un gruppo di ricercatrici, con l’appello Verso una democrazia della cura [3], ha lanciato la proposta di sostenere il lavoro di baby sitter, colf e badanti, che sono così centrali in questo momento per le famiglie, e per le quali non è stato previsto alcun ammortizzatore sociale nel Cura Italia. Sono tutte proposte che al momento non trovano un interlocutore nelle istituzioni, le stesse che hanno creato un comitato tecnico-scientifico composto da soli uomini, e che sembrano pressoché sorde di fronte alle istanze presentate da una larga fetta della popolazione.
La ricerca Ipsos mette in luce come non si possa pensare a una ripresa effettiva post Covid-19 senza il raggiungimento della parità di genere. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, l’aumento dell’occupazione femminile, fino a raggiungere il livello di quella maschile, comporterebbe nel nostro Paese un aumento del PIL dell’11% (Kinoshita and Kochhar, 2016). Ma non si tratta solo di fattori puramente economici. La parità di genere è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, che lega con un doppio filo il raggiungimento del Goal 5 con la costruzione di una società più inclusiva e stabile a livello sociale ed economico.
Serve ora una presa di coscienza, serve lo smantellamento della narrazione stereotipata che delega ancora esclusivamente alla donna il ruolo di cura e di dedizione alla famiglia e ai figli, e vede nel lavoro una minaccia all’integrità del focolare domestico. Che non considera la gestione domestica come un lavoro da salariare e che esclude in grossa percentuale la condivisione delle incombenze tra i partner. Che grida al crollo demografico, ritenendo come uniche responsabili le donne troppo egoiste per procreare, ma che allo stesso tempo non tutela le madri e rende il loro accesso al mondo del lavoro duro e tortuoso. Serve “una posizione del differente che vuole operare un mutamento globale della civiltà che l’ha recluso” [4].
A beneficiarne sarebbe non solo l’intero sistema economico e sociale ma sarebbero anche gli uomini, e in molti già lo fanno, sottraendosi alla dinamica patriarcale dell’oppressione e riconoscendo il proprio privilegio. Ma questo è al pari di tutte le lotte femministe che a fatica si continuano a portare avanti con tenacia e che non escludono nessuno.
Buon Primo Maggio a tutte.
Note e Fonti:
- Laboratoriofuturo
- Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel – La donna clitoridea e la donna vaginale; Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, pag.29
- Verso-una-democrazia-della-cura
- Carla lonzi, op.cit., pag.27
Anita Leonetti
Biografia